Recensione di Viola
Da Grande (Giuntina 15 e) di Jami Attenberg, trad. a cura di Viola Di Grado
Questo romanzo diella Attenberg (il suo quinto) è tutto narrato in prima persona dalla protagonista, Andrea Bern, attraverso dei
racconti/capitoli brevi che ne descrivono alcuni momenti della sua vita non necessariamente conseguenziali nel tempo. La cifra narrativa è
quella dell’oscillazione: l’agire di Andrea nel mondo del lavoro e delle relazioni a New York, da una parte, e l’interiorità di Andrea, che non
riesce pienamente a vivere ciò che agisce: che non riesce quindi a calzare pienamente le scarpe del “diventare grande”. Ma esiste un
momento in cui ci si realizza davvero “da Grande”? A volte sembra essere questa la domanda che sottende tutto il romanzo e che trova delle
risposte assolutamente parziali e frammentate. La cui cifra stilistica delle frasi brevi e i capitoli che si rincorrono senza una logica
temporale sembrano esserne le spie. Un libro che corre veloce, che non lascia troppo tempo alle pause, che ti divora perché rapidamente
pretende una identificazione e un’adesione nella lettrice nei confronti della protagonista. Ci si ritrova quindi a empatizzare con le emozioni
di Andrea, ma anche a empatizzare con quelle parti di sé simili ad Andrea, che non sempre riesce ad Essere.
La forza di questo romanzo è innegabile e sta anche nella traduzione di Viola Di Grado: una traduzione che immediatamente fa dimenticare di sé.
Un buon romanzo per l’estate, per fare i conti con l’età adulta.