La linea del colore

Con La linea del colore seguiamo le orme della pittrice statunitense Lafanu Brown, afrodiscendente e nativa americana, da Salenius a Roma. Si alternano tempi e luoghi diversi, il diciannovesimo secolo di Lafanu Brown e il ventunesimo secolo di Leila, l’altra voce del  romanzo di Igiaba Scego, la città di Salenius dove si è formata la pittrice e la città di Roma dove ha scelto di stabilirsi.

È proprio un incredibile personaggio di romanzo quello di Lafanu Brown. La scelta della scrittrice di affidarsi al romanzesco, pur ispirandosi come lo racconta lei stessa nell’ultimo capitolo a figure di donne realmente esistite come Sarah Parker Remond (ostetrica femminista statunitense afrodiscendente che ha vissuto a Roma) ed Edmonia Lewis (scultrice statunitense afrodiscendente stabilitasi a Roma) ci consegna  la storia di Lafanu Brown, una bambina che lascia la sua famiglia di indiani Chippewa per inseguire un sogno (sulla scia di un padre haitiano e viaggiatore, del
quale ha ereditato i piedi grandi). Quel sogno prende inizialmente la forma di Betsebea McKenzie, ricca vedova abolizionista la cui “protezione” non eviterà a Lafanu di dover fare i conti con un sistema razzista in cui la violenza è la sorte riservata a una ragazza nera che osa uscire dai confini in cui la società la vuole rinchiudere.

Sono tanti i temi toccati dal romanzo, dalla lotta dei neri negli Stati Uniti alle ipocrisie dell’ambiente abolizionista, dalla difficoltà/impossibilità di essere indiana o di essere nera e cittadina degli Stati Uniti alla ricerca di una via, dalla scoperta del proprio corpo (p.233) allo stigma del lesbismo (p.164-171), dalla lotta delle donne per avere un posto nella società alla lotta delle donne nere. Interrogativi che man mano vanno a indagare il significato dell’essere afroitaliane oggi.

È una fontana sita a Marino, che mostra i corpi scolpiti di due donne e due uomini schiavizzati, il ponte tra passato e presente. Una fontana che a secondo della propria storia (o della propria pelle o del proprio immaginario) è visibile o invisibile. È chi guarda a carpire il portato storico di quel monumento, a decidere di ignorarlo o di fargli posto e perché no, di raccontarlo.

Dalla narrazione del presente, meno coinvolgente della parte storica del romanzo emerge il nostro mondo malato di confini in cui il colore del passaporto di un individuo è sinonimo di libertà di movimento oppure di condanna a rischiare la vita intraprendendo un viaggio senza ritorno verso un luogo  – in questo caso l’Italia e in particolar modo Roma, ancora una
volta protagonista della scrittura di Igiaba Scego – che un tempo poteva essere una meta accogliente ed oggi si limita ad essere un luogo chiuso e respingente, dove lo spazio per l’alterità è sempre minore.
Da qualunque parte della linea del colore siamo, esistono oggi altri confini invalicabili che hanno a che fare con l’Europa fortezza e la linea del denaro. Ed è così che Binti, la giovane cugina somala di Leila, decide di affrontare un viaggio verso l’Europa nonostante i rischi di cui è consapevole, che si materializzeranno nel deserto e la costringeranno a tornare indietro.

Con questo lavoro Igiaba Scego conclude la sua “trilogia della violenza coloniale” (Oltre Babilonia, Adua) e l’indagine su una violenza che non è “solo sessuale, ma anche sistemica, attraversa i loro corpi. Violenza che, badate bene, ha in questi libri la sua patente di identità: una violenza patriarcale e coloniale.” Seguiamo il personaggio di Lafanu Brown dall’infanzia all’età adulta, la
vediamo costruirsi a forza di volontà e tenacia, la vediamo piegarsi per via della violenza di un gruppo di giovani, la vediamo lottare per sopravvivere, la vediamo cercare il suo  posto nel mondo nonostante il mondo, la vediamo anteporre se stessa all’uomo che ama per poter diventare la donna che vuole essere, la vediamo aprirsi un varco nel mondo dell’arte, precluso a lei due volte, per essere nera e per essere donna.

La linea del colore, titolo che omaggia l’intellettuale afroamericano W.E.B Du Bois, è anche un omaggio alla forza messa in campo da tutte le Lafanu Brown di ieri come di oggi:

“*Un luogo per resistere.” *
*“E dov’era questo luogo?” le aveva chiesto Lafanu con la sua voce roca.*
*“Il luogo lo sai bene dov’è” aveva risposto la maestra, sbarazzina.*
*E le aveva toccato le mani. Poi aveva preso la tavolozza e indicato alla sua studente nera la tela bianca. Aveva intinto il pennello nel verde, nel blu, nel viola, nel rosso.* *E aveva tracciato la linea del colore.**Una linea verde, blu, viola, rossa. Una linea che non era niente ed era tutto. Una linea nera che poteva dividere o unire. Nera come la pelle di Lafanu Brown.*
*“E’ qui il luogo. In questo incontro tra colore e superficie. E ‘ qui cheJudith * esisteva. Judith creava. E qui esisterai pure tu.”*
**Judith Leister, una pittrice olandese*