Almarina


Almarina di Valeria Parrella è un romanzo intimo e corale, politico nel senso più bello e alto: politico come il partire da sè che tesse le storie piccole con le grandi. 
Almarina parla di carcere, di comunità, di insegnamento, lutto, relazioni di coppia, futuro, città, lavoro sociale, ma soprattutto parla di maternità. Come già ne lo Spazio bianco e Tempo di imparare Parrella narra maternità non conformi, liminali, dove la perdita e l’inadeguatezza pulsano insieme al desiderio, lo stupore e la felicità. La genitorialità delle donne di Parrella considera i figli e le figlie altro, mai schiacciati sull’io narrante; sono relazioni a due in cui ci si incontra, in cui c’è conflitto e mai assimilazione, in un ascolto che è quello che poi alla fine distingue l’essere buone madri dal non esserlo. 
In una prosa calibrata che evoca più di quanto sveli, Valeria Parrella ci racconta l’incontro tra Elisabetta professoressa vedova, mai madre, e Almarina una ragazza romena che ha subito moltissime violenze. Sullo sfondo il mare, i banchi della scuola del carcere minorile di Nisida, di fronte Napoli. 
Elisabetta e Almarina assumono forma pagina dopo pagina, a mano mano che il loro incontro le fa pulsare di vitalità i contorni diventano sempre più nitidi. Si ritagliano il loro spazio in un luogo in cui le individualità non contano e le storie sono tutte e tristi, e, poco a poco, si proiettano nel futuro e non sai come è successo, ma vorresti rimanere con loro, al caldo, almeno un altro po’.